5.10.07

Eco sulla traduzione

Una collega su Langit segnala l'articolo di Umberto Eco Cappelli alti di forma, una Bustina di Minerva su L'Espresso.
Leggetelo tutto: ne vale la pena. Riporto solo qui due passaggi che mi paiono importanti e strettamente correlati tra loro

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"Dura e paradossale fatica è dunque quella del traduttore, il quale dovrebbe fare il massimo per rendersi invisibile, come se si instaurasse un dialogo diretto tra lettore e autore originale, eppure vorrebbe (giustamente) che questa invisibilità fosse premiata con una certa visibilità. Eppure il successo del traduttore è proprio il raggiungimento dell'invisibilità: è solo nei libri mal tradotti che si avverte come nella lingua di arrivo si stabiliscano delle forzature, dei giri faticosi di parole, se non addirittura delle inverosimiglianze. Il lettore ingenuo trova il libro semplicemente duro da leggere, il lettore avvertito invece subodora subito un errore di traduzione, e addirittura dall'errore è capace di indovinare che cosa diceva il testo originale."
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"Ci sono paesi dove un traduttore riceve una percentuale sui diritti (e quindi è personalmente interessato al successo del libro) o in ogni caso viene compensato in modo da poter dedicare a una traduzione anche due o tre anni. E ce ne sono altri in cui il compenso è miserabile e il traduttore deve tradurre più libri l'anno, e quindi è ovvio che tiri via. Spesso, siccome il compenso è basso, si affida il lavoro a chi lo fa per occupare un periodo difficile. Avendo lavorato in una casa editrice per anni, ho rilevato che a proporsi come traduttrici erano moltissime signore neo-divorziate. Emergono allora dalla folla solo i traduttori per amore, che lo farebbero anche gratis - e ce ne sono.
Ma è pretendere troppo che per far bene un mestiere si debba essere ricchi di famiglia."
(Umberto Eco, Cappelli alti di forma, L'Espresso, 28/09/07)